Rosario Livatino: il giudice bambino

Rosario Livatino nasce a Canicattì il 3 ottobre 1952. Conseguita la maturità presso il Liceo classico Ugo Foscolo di Canicattì, si iscrive all’Università di Palermo frequentando la facoltà Giurisprudenza, dove si laurea nel 1975.

Dopo una prima esperienza lavorativa presso l’Ufficio del Registro di Agrigento, nel 1978, supera il concorso per l’accesso in magistratura divenendo
– giovanissimo – uditore giudiziario presso il Tribunale di Caltanissetta.

Nel 1979, Livatino diviene sostituto procuratore presso il Tribunale di Agrigento dove opererà, ininterrottamente, fino al 1989, portando avanti, con rigore ed equilibrio, indagini complesse sulle organizzazioni criminali di stampo mafioso
nonché su eclatanti episodi di corruzione, noti allora come “Tangentopoli siciliana”.

Dal 1989 diviene giudice a latere presso il Tribunale di Agrigento occupandosi principalmente di misure di prevenzione e distinguendosi per l’apprezzata
professionalità e il  comportamento integerrimo.

L’organizzazione criminale di tipo mafioso dell’agrigentino nota come “Stidda”, in aperto contrasto con “Cosa nostra” per il dominio sulle attività illecite in
Sicilia, ne decise l’assassinio come la mafia “palermitana” aveva fatto solo qualche anno prima, lungo la stessa strada statale, ai danni del magistrato
Antonio Saetta e di suo figlio.

La mattina del 21 settembre 1990, lungo la statale SS640 Agrigento-  Caltanissetta, l’automobile del giudice Livatino – diretto in Tribunale per
celebrare un processo a carico di alcuni mafiosi di Palma di Montechiaro – fu speronata dal commando omicida. Il giudice Livatino, che per sua decisione preferiva viaggiare senza scorta, pur ferito cercò allora di allontanarsi a piedi
dagli efferati criminali.

Tuttavia, i sicari lo raggiunsero, freddandolo brutalmente
ai piedi del viadotto della statale 640.

Sul luogo dell’assassinio sopraggiunsero i migliori investigatori siciliani, tra i quali il giudice Falcone che rimase
fortemente scosso dall’accaduto.

Gli autori dell’omicidio sono stati assicurati alla giustizia e condannati all’ergastolo dalla Corte di Assise di Appello di Caltanissetta nel 1999.


Il 21 settembre 2011, a favore della straordinaria figura di Rosario Livatino, dichiarato “servo di Dio” dalla Chiesa Cattolica, si è aperto il processo di beatificazione.

Già Papa Giovanni Paolo II, in occasione di un incontro con i
genitori del giudice, definì Rosario Livatino quale “martire della giustizia ed
indirettamente della fede”; adesso, la storia di giustizia, compassione e sacrificio
di un giovane magistrato come Rosario Livatino si intreccia, grazie alla beatificazione, a quella di Pino Puglisi, enfatizzando la dura presa di posizione della Chiesa Cattolica verso la criminalità mafiosa e lo stringente legame tra fede
religiosa ed impegno sociale al servizio della giustizia e della legalità.


Lo Stato ha onorato il sacrificio di Rosario Livatino, con il riconoscimento concesso a favore dei suoi familiari, costituitisi parte civile nel processo, dal
Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/1999.

Antimafia e Gioventù: L’Impegno di Palermo per Educare alla Legalità

Nella suggestiva cornice del Teatro Santa Cecilia di Palermo, si è tenuto un evento emblematico nel giorno dell’anniversario della strage di via D’Amelio, che ha visto la partecipazione di Federica Celestini Campanari, commissario straordinario dell’Agenzia italiana per la gioventù.

L’incontro, incentrato sui temi della legalità e della giustizia, ha radunato 120 giovani provenienti da varie associazioni giovanili e enti di volontariato, tra cui Ceipes, Caritas, Elios, Giffoni, l’associazione Valentia, Informagiovani, Modavi, Giosef, e People help the people, dimostrando un impegno concreto nel promuovere la cultura dell’antimafia tra le nuove generazioni.

“L’impegno per la memoria di Paolo Borsellino e degli agenti vittime della mafia si traduce oggi in azione, attraverso l’educazione dei giovani ai valori di legalità e cittadinanza attiva”, ha dichiarato Celestini Campanari, sottolineando l’importanza di un ricordo che si fa dinamico e propulsore di cambiamento. Michele Sciscioli, capo dipartimento delle Politiche giovanili e servizio civile presso la presidenza del Consiglio, ha rafforzato questo messaggio, evidenziando come la memoria debba essere un motore attivo verso la trasformazione sociale.

L’Agenzia italiana per la gioventù, che gestisce programmi di rilievo europeo come Erasmus Plus, Gioventù, Sport e il Corpo europeo di solidarietà, ha recentemente ampliato il suo ambito d’azione includendo il mondo della cooperazione internazionale. Questa apertura rappresenta una nuova frontiera per l’entità, che ora mira a un impatto più ampio nel contesto della globalizzazione, attraverso il coinvolgimento diretto dei giovani in attività di apprendimento non formale legate alla legalità e alla cittadinanza attiva.

Nel corso della giornata, i partecipanti hanno avuto l’opportunità di immergersi in workshop dedicati e di ascoltare gli interventi di personalità di spicco come Andrea Abodi, ministro per lo sport e i giovani, e Chiara Colosimo, presidente della Commissione parlamentare antimafia. Queste attività hanno offerto spunti preziosi per riflettere sull’importanza dell’educazione alla legalità e sul ruolo cruciale che i giovani possono svolgere nella costruzione di una società più giusta e trasparente.

L’evento di Palermo si configura come un momento significativo di condivisione e di impegno collettivo, che pone le basi per un dialogo costruttivo e per azioni concrete volte a contrastare la mafia e a promuovere la legalità. È un segnale forte dell’importanza di investire nelle giovani generazioni, considerate non solo destinatarie ma anche protagoniste attive del cambiamento sociale verso un futuro libero dalla criminalità organizzata.

Antimafia Oggi: Tra Legislazione e Impegno Civile per una Democrazia Più Forte

Negli ultimi anni, gli anniversari delle vittime illustri della mafia hanno spesso dato vita a polemiche politiche, esibizioni di un’antimafia superficiale e proteste da parte di quella sociale, impegnata quotidianamente a contrastare i legami tra mafia, politica e istituzioni, nonché a promuovere l’educazione alla legalità tra le nuove generazioni.

Il trentunesimo anniversario delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio non ha fatto eccezione, evocando il ricordo del sacrificio di Paolo Borsellino e della sua scorta in un contesto di preoccupanti proposte legislative.

Il governo nazionale, con proposte quali l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, un chiaro indicatore di corruzione e collusione tra mafia, politica e istituzioni, e la limitazione della pubblicazione di intercettazioni non citate in dibattimento processuale, sembra muoversi in una direzione potenzialmente pericolosa per la trasparenza e la lotta alla criminalità organizzata. La proposta di rendere collegiale la decisione sulla custodia cautelare, insieme alle ultime iniziative del Ministro Nordio su separazione delle carriere tra pm e giudici e modifiche al reato di concorso esterno in associazione mafiosa, solleva ulteriori preoccupazioni.

In aggiunta, la decisione di liberalizzare il ricorso al subappalto, notoriamente una via d’accesso per l’infiltrazione mafiosa nella spesa pubblica e nell’uso del lavoro nero, evidenzia un’allarmante sottovalutazione dei rischi associati a tale pratica.

La storia ci insegna che senza interventi legislativi decisi, come la prima legge antimafia Rognoni/La Torre, adottata in seguito all’assassinio di Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa, e l’applicazione da parte di magistrati coraggiosi come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la lotta contro la mafia non avrebbe potuto ottenere i risultati storici del maxiprocesso.

I processi per le stragi di Capaci e Via D’Amelio hanno chiarito molto sugli esecutori e sui depistaggi, ma lasciano ancora ombre sugli ispiratori politici, istituzionali e sociali di tali atti.

La democrazia rimane vulnerabile finché la verità completa non verrà alla luce e i responsabili non saranno chiamati a rispondere delle loro azioni.

Per proteggere e rafforzare i valori democratici, è essenziale dotare le nuove generazioni di strumenti culturali adeguati per comprendere la natura complessa e pervasiva del fenomeno mafioso, con le sue ramificazioni internazionali e le sue connessioni con la sfera democratica.

In vista delle elezioni europee e oltre, diventa cruciale l’obiettivo di una legislazione antimafia a livello europeo, capace di affrontare le sfide poste dalla globalizzazione, dalla rivoluzione digitale, e da altre crisi contemporanee.